C’è un dato che in Europa si fatica a riconoscere, ma che è ormai sotto gli occhi di chiunque guardi alla politica globale senza paraocchi ideologici: negli ultimi anni, le destre vincono molte sfide elettorali o, comunque, consolidano la propria posizione, anche quando non ottengono la maggioranza. Negli Stati Uniti, Donald Trump torna alla Casa Bianca. In Argentina, Javier Milei scompagina lo scenario con la sua rivoluzione anarco-capitalista. In Francia, il Rassemblement National di Marine Le Pen è a un passo dall’Eliseo mentre l’AfD cresce in Germania. In Giappone il governo conservatore del premier Shigeru Ishiba va avanti anche se gli manca qualche seggio in Parlamento. In Grecia Kyriakos Mitsotakis, in Ungheria Viktor Orban e in Israele Benjamin Netanyahu governano da anni, senza dimenticare (anzi dovremmo citarlo per primo) quel robusto conservatore e nazionalista di Nerendra Modi che vince nel 2024 per la terza volta consecutiva le elezioni più partecipate al mondo, quelle dell’India (624 milioni di votanti, con 312 milioni di donne: un dato, quest’ultimo, che da solo supera il totale degli elettori di tutti i 27 paesi dell’Unione Europea). Insomma, la destra non è più una variante del sistema, ma è “dentro” il sistema, come dimostra perfettamente il voto per il Parlamento Europeo del 2024. Deve quindi essere chiaro che, in questo contesto, Giorgia Meloni non è un’eccezione. È un “ingranaggio” essenziale. Non solo ha conquistato e mantenuto la guida di un Paese del G7, ma si è progressivamente ritagliata il ruolo di interlocutore naturale di questo nuovo mondo conservatore. Una figura capace di parlare sia con l’America trumpiana che con l’Europa tradizionale, un punto di equilibrio tra l’istituzionalità e l’identità.
Dopo l’insediamento ufficiale di Donald Trump il 20 gennaio scorso, Giorgia MeloIl summit della Casa Bianca Meloni discute di dazi e Ucraina a Washington con il presidente americano Donald Trump ni è tra i primi leader europei a volare a Washington (memo per tutti, anche se sembra passato un secolo: era già andata a Mar-a-Lago per il rapimento di Cecilia Sala a Teheran). Il suo incontro con il presidente USA mostra al mondo un Trump dialogante e, quindi, inedito: per questo giovedì è un punto di svolta. Certo, anche i mercati spingono la Casa Bianca a cambiare atteggiamento, ma è con il premier italiano seduto accanto che il presidente americano si riappropria (salvo sorprese) del ruolo di leader dell’Occidente, senza per questo rinnegare la strategia MAGA.
Insomma, l’asse Italia-Stati Uniti si è rinsalda su una comune visione della sicurezza internazionale, della lotta al terrorismo, della difesa dei confini e della tutela della sovranità nazionale. Un’agenda che segna discontinuità con i toni multilaterali dell’era Biden, ma che Meloni conosce e maneggia con familiarità: è la sua agenda. Da parte americana arriva subito un secondo passaggio decisivo: J.D. Vance, vicepresidente e astro nascente della nuova destra statunitense, sbarca a Roma. Non si tratta solo di cortesia: il suo arrivo coincide con una tornata di colloqui riservati tra delegazioni di USA e Iran, proprio nella capitale italiana. Un fatto che ha un solo significato: l’Italia diventa piattaforma diplomatica di rilievo. E questo ritorno ha un nome e un volto. Meloni capisce che il mondo sta cambiando. Mentre Bruxelles si rifugia nei regolamenti e Berlino si interroga sulle proprie fragilità economiche, la premier italiana sceglie di giocare la partita della politica estera con un approccio pragmatico: non si isola, non si allinea. Piuttosto, si posiziona. Il punto politico, quindi, è proprio questo.
In un’epoca dominata dalle destre – diverse tra loro ma accomunate dalla rottura con l’establishment liberal-progressista – chi vuole davvero dialogare con questi nuovi attori deve avere le chiavi giuste. E deve avere una situazione sotto controllo “a casa”, dove per Meloni il quadro resta solido. Il suo governo regge, la popolarità della premier è alta, e la narrazione di un’Italia che “conta di più” si sta radicando anche nell’opinione pubblica. Il tutto per un esecutivo che ormai ha due anni e più di vita alle spalle: quindi non è fenomeno passeggero. Il mondo non aspetta più l’Europa per decidere, e l’Europa – per contare davvero – ha bisogno di figure che sappiano muoversi in questo nuovo “ordine”. Giorgia Meloni si dimostra in grado di farlo. E questo, in una stagione dove le alleanze contano quanto le idee, fa la differenza. Da underdog a perno. La “sorella d’Italia” d’Italia sta diventando grande: non si monti la testa e resti con i piedi per terra, può fare bene. Anzi, molto bene.
Fonte: Roberto Arditti, IL TEMPO